BISCOTTOS DE ENTU
Li chiamavano biscottos de ou, o anche, più leggiadramente, biscottos de entu. Non c’è bisogno di molte spiegazioni: “biscotti d’uovo”, perché l’uovo non è soltanto l’ingrediente principale, ma è addirittura quasi l’unico. A 40 uova, che fanno una “cotta”, cioè la misura standard da infornare, si aggiunge un chilo e mezzo di zucchero, e da lì si comincia a lavorare; “biscotti di vento”, più bello, perché risultano così leggeri che ti dà l’impressione vogliano volar via, fuggire di mano e andare per l’aria.
Li fanno solo a Benetutti, in Goceano. L’attività principale è ancora la pastorizia, le pensioni sociali e qualche impiego pubblico sono una parte forte del prodotto interno lordo del paese. Un tempo parte del denaro per vivere veniva anche da un po’ di agricoltura e dal lavoro al telaio e, ad alcune poche famiglie, dall’arte del biscotto.
[…] Ora i biscotti, senza i quali non si facevano battesimi, cresime e feste nuziali né si serviva il caffè alla vicina in visita, sono scomparsi. È scomparsa la piccola industria domestica che li produceva. In chi ne parla cresce la nostalgia di quel tempo, tutta risolta nel profumo e nel gusto di quel piccolo miracolo che, appena arrivato alla bocca, si scioglieva come una bolla lieve.
Se li fanno, anzi, li facevano, solo a Benetutti, la domanda è: da dove sono venuti, e perché sono scomparsi? Perché sono scomparsi è semplice: farli costa sapienza e conoscenza delle antiche ricette, quella che chiamano utenza s’accontenta del piccolo market a portata d’uscio, il prezzo non remunera la fatica. Da dove sono venuti è mistero che neppure a Benetutti sanno risolvere. C’è una leggenda, che ne attribuisce l’importazione da un centro del vicino Marghine.
Da Bolotana venne, fra gli ultimi e i primi del secolo nuovo, un parroco (qui si dice su rettore) che si chiamava Leonardo Motzo Zolo, che portò con sé una nipote gentile casalinga, un nipote orfano che aiutò a studiare da prete, e, dice la leggenda paesana, i biscottos de ou. Il rettore Motzo era uomo molto mite. Era stato frate cappuccino, e quando le leggi prima del Regno di Sardegna e poi Regno d’Italia avevano soppresso gli ordini religiosi era passato nel clero secolare. La generazione dei sardi che hanno studiato nelle Università, specie di Cagliari, lungo il novecento, hanno conosciuto quel suo nipote che s’era portato appresso a Benetutti. Diventato sacerdote, ma anche grande uomo di studi, aveva condiviso le idee del movimento modernista, tanto diffuso nella Chiesa che pio X aveva dovuto condannalo ufficialmente. Bacchisio Raimondo Motzo, già eminente studioso della storia del mondo romano e del primo cristianesimo, aveva abbandonato la Chiesa ed era diventato professore di Storia romana. Preside della facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, aveva aiutato la facoltà a sopravvivere ai durissimi bombardamenti della primavera del ’43 e ne aveva guidato la rinascita. Agli esami ti guardava con occhi chiari e sereni, pieni di qualche ironica curiosità: il colorito roseo, gli occhialini senza montatura, la capellatura d’argento candido tutta scarruffata lo facevano sembrare uno degli uomini da scrivania del mondo dickensiano. Agli esami ti faceva coraggio, sorridendo.
Più grati ancora gli saremmo stati se avessimo saputo che l’arrivo suo e degli altri due Motzo a Benetutti aveva portato “sa rezzetta”, la ricetta, dei biscottos de ou come il delicato dono di Tre Magi pastorali.
La verità, dice quel tanto di indagine storica che si può ancora fare sul tema, è che a Bolotana non esistono né sono mai esistiti biscotti come questi. Non c’è biscotto bolotanese, biscottu o giorminu che sia, che faccia a meno della farina, e se c’è farina non può essere biscottu de ou: che è tutto, e solo, molte uova e tanto di zucchero, e bastada.
Manlio Brigaglia