STORIE DI GIORNI LONTANI

La Storia

PROFILO STORICO DI BOLOTANA

 

L’antico nome di “GOLOTZENE” o “GOLOSSANE” compare per la prima volta nel 1341 in un documento scritto della chiesa, che attesta l’entità dei contributi in danaro che i singoli villaggi versavano per finanziare le guerre contro i Turchi. Fra i 21 villaggi della diocesi di Ottana, Bolotana risultava al quarto posto nella contribuzione. La presenza umana nel suo territorio risale però al periodo prenuragico e nuragico come rivelano le testimonianze dei numerosi protonuraghi, nuraghi, domus de janas e alcuni circoli rituali. Sono state riscontrate anche tracce della civiltà punica e numerosi resti di quella romana. L’assetto urbano dei tempi recenti è senza dubbio riferibile al 1300 o al periodo immediatamente successivo, quando le popolazioni delle numerose “ville” (biddas), sparse nel suo territorio, abbandonarono le campagne diventate insicure e si trasferirono, a più riprese, a Bolotana, aggregandosi al suo nucleo originario, presumibilmente i rioni di “CORONAS”, “SANTU ASILI” e “FURREDDU”. E’ da presumere che questi agglomerati si siano spopolati quando le campagne furono percorse da bande armate in conseguenza dell’instabilità politico-militare che si visse nell’isola con la crisi dei giudicati e la presenza dei Pisani e dei Genovesi. La Media Valle del Tirso, posta allora al confine tra il giudicato di Torres e quello d’Arborea e luogo di passaggio dal Nord verso il centro dell’isola e viceversa, divenne probabilmente teatro di scontro tra le diverse milizie giudicali e tra queste e le truppe dei signori di Pisa e Genova. Dell’aggregazione al nucleo originario di Bolotana degli abitanti di antichi insediamenti sparsi nel territorio si hanno prove certe. Eccone una:

 

Di fronte all’attuale rione di “SANTU ASILI” (San Basilio), a una distanza di circa 600/700 m. in linea d’aria, sorge “S’ORTALE”, un colle oggi ricoperto da ulivi, mandorli e fichi d’india, ma che un tempo è stato sede di un fiorente villaggio, “SANTU SELIGHE” (San Sergio), menzionato anche da un importante storico (V. Angius). Pare che i suoi rappresentanti, assieme a quelli del villaggio di Bolotana, abbiano presenziato alla cerimonia degli accordi di pace stipulati nel 1388 fra la giudicessa Eleonora d’Arborea e gli Aragonesi, a conclusione della lunga guerra di conquista della Sardegna. ”SANTU SELIGHE” venne abbandonato probabilmente intorno al 1500. I suoi abitanti si trasferirono a Bolotana, scegliendo di stabilirsi a ridosso del preesistente rione di San Basilio. La dislocazione di questo nuovo quartiere  forse è stata volutamente disposta proprio di fronte al villaggio di origine, quasi a rimarcare la volontà di stabilire con esso un legame affettivo e di nostalgia. Secondo la tradizione orale, fino a qualche  secolo fa veniva  effettuata una  spericolata corsa  a cavallo che, partendo dalla chiesa di “SANTU SELIGHE”, andava a terminare in quella di San Basilio, attraverso una strada stretta e impervia ancora oggi esistente.

Nei primi decenni del 1400, il Marghine venne conquistato dagli Aragonesi e alla fine del secolo entrò a far parte della Contea di Oliva, uno dei trentasette feudi in cui fu divisa l’isola. Sulla ”villa” di Bolotana non si trovano notizie relative a quel periodo, queste ricompaiono intorno al 1500, quando inizia nel paese un intenso sviluppo religioso ed economico che continua nei due secoli successivi e che si manifesta con l’impulso dato all’edilizia religiosa. Risale al 1524 la ricostruzione della chiesa di San Bacchisio, ai primi anni del ‘600 l’edificazione della Parrocchiale di San Pietro e del Convento dei Cappuccini. Successivamente, forse, furono costruite anche altre chiese minori: San Basilio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Croce, San Francesco, San Giovanni, San Martino, Madonna del Carmelo, Nostra Signora di Buoncammino. Diverse di esse sono andate distrutte, ma la memoria collettiva ne conserva il nome. Sembra che la chiesetta di San Sebastiano, che si trova nell’attuale via omonima, e quella silvestre di San Martino (in montagna, al confine tra Baddesalighes e S. Maria ‘e Sauccu) siano state entrambe edificate da soldati spagnoli di stanza in questa zona, la prima dai fanti e la seconda dai cavalieri, in quanto santi protettori dei rispettivi reparti militari. Verso la metà del ‘700, il paese raggiunse il culmine dello sviluppo: divenne uno dei centri più popolati del circondario e consolidò la sua economia, già fiorente, basata sull’allevamento del bestiame e sull’agricoltura, in particolare quella del grano. A quei tempi Bolotana ospitava un elevato numero di nobili ed ecclesiastici, distribuiti in sette chiese e due conventi (Cappuccini e Mercedari). Lo storico V. Angius scrive che nel 1763 nel paese funzionavano le scuole di latinità e che gli allievi frequentanti non erano meno di venticinque. Negli anni seguenti continuò l’espansione economica e territoriale del paese, purtroppo sostenuta da una forte criminalità che costituì a lungo una grande piaga per Bolotana e dintorni. La criminalità decadde nel corso del XIX secolo. L’espansione territoriale, prima basata sulla violenza e sul sopruso, proseguì con l’acquisto dai paesi confinanti di notevoli estensioni da coltivare e adibire a pascolo. E’ andata così consolidandosi la figura del pastore-contadino fino al 1970, anno in cui inizia il processo di industrializzazione della Media Valle del Tirso che introduce nel tessuto sociale la categoria operaia. Il nuovo assetto della proprietà fondiaria è successivo all’Editto delle Chiudende, un intervento del regime sabaudo che risale al 1820. La legge, autorizzando sia i proprietari che i Comuni a chiudere i terreni posseduti, aboliva il diritto collettivo di pascolo sui terreni privati e disponeva che in qualunque terreno recintato fosse libera la coltivazione. La successiva abolizione delle giurisdizioni feudali, decretata da Carlo Alberto nel 1836, contribuì a far scomparire in tutta la montagna la proprietà pubblica. Il Comune divenne proprietario di una parte di essa che lottizzò e assegnò alle famiglie locali; l’altra, che apparteneva allo Stato, fu venduta nel 1879 ad un ingegnere del Galles, Benjamin Piercy, venuto in Sardegna per costruire la ferrovia che collegava Porto Torres con Cagliari. I Bolotanesi si sono riappropriati di parte di queste terre solo novant’anni più tardi. Nel corso degli ultimi due secoli la popolazione ha dato prova di grande laboriosità in tutti i settori occupazionali, anche nell’esperienza di emigrazione all’estero divenuta particolarmente intensa nel ventennio 1951-71. 

ANDAMENTO DEMOGRAFICO

L’andamento demografico di Bolotana, dal 1861, anno in cui iniziarono i censimenti decennali della popolazione, ha registrato una progressiva crescita fino al 1951: dai 2858 abitanti registrati all’Unità d’Italia si giunge ai 4.494 a metà degli anni Cinquanta; a partire da tale data si assiste ad progressivo e impressionante calo della popolazione, con un lieve incremento registratosi nel ventennio 1971-1991 a seguito dell’insediamento delle industrie nella Media Valle del Tirso, che ha comportato un cospicuo rientro di lavoratori emigrati all’estero. I numeri sono molto eloquenti: dai 4.494 abitanti nel 1951 si passa ai 4.274 nel 1961, ai 3.495 nel 1971, ai 3.858 nel 1981, ai 3.625 nel 1991, ai 3.276 nel 2001 e ai 2.839 nel 2011. Il decremento medio per anno risulta essere di circa 100 abitanti; secondo i dati dell’Ufficio Anagrafe del 2020 la popolazione residente ammonta a 2.526 abitanti, con una significativa prevalenza delle femmine rispetto ai maschi: 1.350 contro 1.176. Come si può notare, il decremento massimo si è avuto nel decennio 1961-1971, quando si verificò un forte flusso migratorio verso i Paesi europei – ben 779 abitanti lasciarono il paese! – diretto soprattutto in Francia, in Svizzera, in Belgio e in Germania. Il rientro da questo massiccio esodo, verificatosi nel ventennio 1971-1991, ha interessato circa la metà degli emigrati. Secondo dati non ufficiali il picco massimo della popolazione è stato registrato nel 1934 con 4962 abitanti.

La storia di oggi è quella di un paese che vive i problemi causati da un progetto di industrializzazione fallito e che attende tempi migliori.

 

I PRIMI INSEDIAMENTI NURAGICI

Le prime tracce di insediamento dell’uomo a Bolotana risalgono al periodo nuragico. La grande ricchezza di monumenti e testimonianze archeologiche del nostro territorio è data soprattutto dal periodo nuragico. Proto nuraghi, nuraghi, tombe di giganti, villaggi, pozzi sacri e fonti, dislocati per la gran parte sulla montagna dimostrano la massiccia presenza di questi edifici in una percentuale fra le più alte in assoluto di tutta la Sardegna. Solo di nuraghi se ne contano 47, difesi da un efficace sistema di controllo del territorio che garantiva dalle sorprese di eventuali invasioni da nord (proto-nuraghe “Pèrca ‘e Pàza”, forte di “Nodu ‘e Sale”, situato a 1.120 mt. s.l.m. che controllava la parte sud verso la media valle del Tirso e il forte di “Mònte Estìdu” che proteggeva il lato occidentale e il forte di Ortachis che controllava la strada che collegava la media Valle del Tirso con Campeda.

Fra i monumenti particolari del territorio di Bolotana si può citare il nuraghe “Sos Pabattòlos” perchè ritenuto incompiuto, un vero e proprio cantiere abbandonato nel pieno dei lavori per chissà quale motivo. Questo consente di rivelare una delle tecniche costruttive in quanto è rimasto un piano inclinato con un masso squadrato pronto ad essere posizionato sulla quarta fila della costruzione.Di notevole pregio sono i nuraghi di “Tittiriòla” per la sua maestosità e grandezza, di “Funtanàssida” per il suo ingresso e per l’architrave trovati ancora intatti. Possiamo citare inoltre i proto-nuraghi di “Pèrca ‘e Pàza”, di “Santa Cadrìna” e di “Gàza”, nonchè i fortilizi di “Ortachis”, “Nòdu ‘e Sàle” e “Monte Estìdu”, i numerosi villaggi nuragici sparsi lungo tutto il territorio montano.

Questa ricchezza rivela una presenza umana che seppe resistere tenacemente  ai popoli invasori nel disperato tentativo di difendere la propria libertà e la propria gente. Riveste una notevole importanza il forte di “Pabude” dove sono visibili i resti delle mura.

In un altro monumento in località “S’Ispinarba” che si trova nella pianura bagnata da fiume Tirso, sono visibili resti di mura che presumibilmente appartenevano a un edificio aventi funzioni di fattoria. Non lontano da questa località sono state trovate delle monete in numero notevole ed altri oggetti. Inoltre all’interno dell’abitato del paese sono stati trovati due basamenti di colonne che, con tutta probabilità, facevano parte di un tempio dedicato a una divinità legata al culto delle acque, in quanto si trova in un punto dove ancora oggi è presente una fonte, forse di derivazione nuragica. 

Fra le testimonianze non possiamo non citare le strade che attraversano il territorio di Bolotana e che, fino a pochi decenni fa, venivano utilizzate in larga misura per gli spostamenti dei pastori transumanti e contadini. La più importante di queste vie è senz’altro la cosiddetta “Ad Mediterranea” che partiva da Olbia e arrivava fino in Barbagia, Gavoi, superava il rio Taloro con il bel ponte di “Aratu”, oggi sommerso dalle acque dell’invaso, tornava indietro e attraversava il Tirso in territorio di Illorai con un altro superbo ponte, “Pont’Ezzu” appunto, tuttora esistente, per poi arrivare nel territorio di Bolotana e, attraversando tutta la montagna, “Frida”, “Buri”, “Sa Serra” ecc. si riannodava al centro viario di Molaria (Mulargia), all’epoca di notevole importanza dal punto di vista delle comunicazioni per tutta la Sardegna.